muto incivile accondiscente permeabile

lunedì 14 dicembre 2009

Desideri che catapultati ancora fanghiglia muraglioni

anatre sonnacchiose , ammiragli delapidati non fanno tanto minuto al primo che tempo non ha se non il suo perduto che non trova.
e ti alzi presto alla mattina.
altre voci , rincorrono , si insinuano, fanno, fanno loro fanno come se fosse un loro mondo il mondo vero che si interroga sul perchè e da risposte come se fossero maghe magie e puttane.
Yeag.
Ed è così certo che sia così perchè tutto fa convincere e d evincere che sia cosi.
quindi perciò le discese, pontili saltati, uova stramazzate,tu che ti rintani dietro alla macchina e godi degli spilli che lacerano la gomma e il pelo e s'urlano "ognun quì dentro fa quel che vuole".
Ma non è quell'immagine,
sono credenze che si credono
e credendosi si rivestono.
L'anta non si rassicura del fatto che non vedendo il sole possa restare aperta se si duole e commuove rimane chiusa
sembra sembra sembra e l'identità sparisce, laconica immersa nel tornado
strappando via ilculo ai fratellini
"se apro il tendone e vedri la mostra è il culo impalato che ti mostra la saga dei suoi decenni di vita rappresi in gocce d'orzo cointreau amardolce.

r basta
e basta
casa senza pareti

giovedì 1 ottobre 2009

Ancora una volta il muro del suono

Nell'impossibilità che le contingenze vengano perdute , definitivamente senza liquidare anima viva, riscopro piccoli insetti senza pur scoprire .
nulla.
Impotenze sui muri, mentre euforie d'ecchimosi vecchie disertate allungano le nostre strade, come se fossero gelatina di gomma, appesa alle nostre speranze , ai nostri cataloghi derivati dalle lumache.
"Psicofarmaci dai colori strani"
e a piede libero , mi dicevi questo a tutta voce , se richiedessi un viaggetto lo farei ma solo se tutte le colpe sarebbero svanite
e mentre nel giovedì primo d'un ottobre ancora più catastrofico delle prime ghiacciate siberiane
"mi distrugge il fatto che tu stia così"
e tu " eh..è la vita"
non mi ripiega. Assidera anche se sono mutilato psicologicamente, continuo tremante il percorso .

Mi riconosci ancora?


E' tutto sbagliato
E' tutto giusto
E' tutto normale.

Oggi piove,
tutti nella grotta
a fumare.

Hombre.

domenica 12 luglio 2009

Esistenzialismo

La domenica ritorna a pesare.
La testa vola tra la crudeltà dei mezzi oggettivi che intercendono nel detestare la situazione e complicano il dipanare delle negatività.
Quindi una sorta di nudità ma non più nemmen quella.
Sento già l'odore del mare e questa cosa, come negli altri anni, come negli altri blog passati, mi fa sentire a disagio e non per questo mi si trova incazzato ma mi si trova incazzatura nel ritrovare
certe cose ancora non cambiate.

Sarà solamente un momento, ma se v'è questa cosa.
Non sono libero.
Libero non è roba . E' la vera ribellione.
Che parte da se stessi, all'attenta analisi delle proprie colline o montagne scoscese, per poi dipanare tutto questo all'esterno , non modificato ma limato (e tutto questo va bene se nel guardare la gente o le strade o anche gli alberi, non si prova estraniamento).

Mi sfiora, l'idea della paura e della reazione cattiva contro se stesso (non voglio scrivere)
. MA non mi interessa, ho già vinto.
Solamente che non mi trovo pace anche nel più autunnale equilibrio.
Saranno Gesta, sarà la fine del ciclo.
Ma veniamo all'analisi,
Gesta: non è che la figlia dei gesti, quindi di una forzatura magari di un essere che non è sempre quello che cambia , ma non per fatto di convenienza ma per fatto che qualsiasi cosa cambia anche di poco nel giro di pochissimo. Con questo non metto in dubbio nulla.
Ma parlo degli stati d'animo (mi si fraintenda pure , se conviene e convenga).
2) Fine del ciclo: un ciclo di azioni, di momenti s'appresta per terminare con un grosso slancio, stacco di invisibile materiale, presente veicolo (ancora percepito come ricordatore di vecchie insicurezze pur nella consapevolezza della fiducia ).
Questa non è analisi , cos'è?
Mi si appresta a cambiare il pensiero o la stato o lo stato d'animo?
Quindi un'anima senza stato è per forza patologia schizoide, perchè divisa in frammenti e quindi prettamente schiavista e schiavizzante?

Bom, gira la testa
gira sul collo
e per poco barcollo.
Piaccia o non piaccia
questa è proprio la mia faccia.

Enigma



non è esistenziale.

E' drammaticamente vuoto d'autore.
L'autore dov'è?
chi è ? che fa?
lasci spazi o li riempie con cose che devono riempire o di concetti di cui la coccinella non ne scivola via?

Oddio
rigira di nuovo.
Guardo e seguo l'odore della sensazione che proviene dalla strada.

mmmh.

mercoledì 10 giugno 2009

sFamagus

Una donna appigliata alla colonna

a metà della colonna,

una rivolta tetraplegica

metafisica

chiusa borsa

..

anche ora che

l'asse da stiro

si fonde con la sigaretta

ed inquino la nomea degli ufo

ti addormenti

e sento

nonostante milioni di pavimenti

il tuo odore filtrato da elettricità

sempre

ponti distrutti

strattonandoti

vetrine interiori

venerdì 5 giugno 2009

Costanti spettri di morti ,mentre guido

Nello specchio non vedo più, non solo la verità



quella del mattino, del pomeriggio, dei tremolii d'angoscia, dei risvolti della tavola, dei cocomeri sopra plastificati ne d'un sorriso al bordo della piscina o dell'oceano



ma oltre il viso che di viso poco più d'un accattonaggio (anatema d'un retaggio della conseguenza di tali fermenti violenti furiosi)



scorge un cammpo di maggese, il sole brillante che non contento di brillare a se stesso, brucia gli ultimi enfiati, rimasugli di carne e prurigine.



Disteso ti vediamo, con lacrime di pensiero



pieno di adagiatezza, mentre urliamo scalpitiamo come zoccoletti di legno



sulla spianata della tua fronte.



Pulsa quella vena sulla tempia,



riporta ad antichi fasti di vitalità



nefasti giochi autodistruttivi latenti



(non s'è mai accorta d'essersi così infibulata che s'è resa irrevocabile, rage)



ma senza nessuna effettiva evocazione



a darle forza



solamente vaghi ricordi che sembrano lontani



ed ora sulla riva di questo laghetto



il sole terso ,candeggiato



si rispecchia nei silenzi d'introspezione.



L'impeto di vergogna



pervade perverso



con un brivido alla schiena



il mortale autodistruttivismo



la totale assenza di vero incendio



caratteriale



d'un muto.



Per cieca fortuna



non può parlare



per non dire più



ma parlare solamente,



all'insieme di tutte le lune



all'addiaccio della notte



si preparano le gonfie borse



sonnolente al riflesso dello stagnetto



piccolo malnauseato mondo



barocco del provinci-a. --ale



e sputa



residui



tabacco incenso e volgo



spireuditico



"fermati



caccendi e naviga queste foglie



che al primogenito fischio di vento



porta respiro



l'unilaterale ,



in cui avvizzite



percorso



con funamboliche ali spiccano



fissando



senza suono



il passare



..e nel mentre perde un cappello, luminare"





Ma..ammettiamo che io mi sia sbagliato....



no no no no



aspetta....



"un silenzio di fronda"



shhhhh insopportabile esistenzialista



shhhh porco traditore..



odi il silenzio dell'avere?



vero che rinchiude??



shhhhh non strepitare



ti rimetterò fra gli altri capelli



...ma ammettiamo..



ti si ritorce contro....



che mi sia oltraggiatao.





contraddetto loquace



comare





scalmanata





Di più e ruotano



angustie



due o tre passi



sulla sabbia ipocrita



e strapiove.



E' notte , dimentico







domani





volgare disattenzione





dell'indicibile mutezza



palmare









Shh non strepitare



distenditi



e mongolfiera diverrai





ho la vista tremante



da poco sangue alla giugula





l'ora del lupo è giunta





manicomio encomiante,



per un muto che ode voci



parlare?






ci vedi vi vedi ci vedi ci vedi viciv ici cie veidi celo ci vedi glaubrante gla




Claro.

domenica 31 maggio 2009

Frattumiera
































Uno scalpello. uno zoccolo. Il bello.
c'è una connessione tra le vette raggiungibili possibili del bello (e quindi sconsideratamente del meglio , non del bene che è un concetto rotatorio perciò relativo) e lo spuntare, scavare dall'interno?


c'è un modo per fermarti?


bidonvillage" mi fanno eco dall'interno senza filo, ma tutto quello che è village non è mero ma pattu-mi- era. Era un patto con se stesso che era e fu e che mai potrà essere del MI ovvero d'una cosa ineffabile non compiuta , assolta, assoluta.


No impossibile se ti fermi senti il puzzo , non più del girovagare, ma del reclamo dell'ansia, di quel stramalnutritico accidente che è il sentire. Non sentire ma olfattivo.


Recidivo capo d'imputazione permissivo che da un cannocchiale smarrisce gli anfibi giovanili e si prepara, disfacendosi.


Da quando l'assenza ha pesato e continua a pesare così, tanto? E' per caso un vuoto d'assenzio?




Troppe domande più intrusioni, anfratti smercificati oramai del tutto "buono per auotdifesa" divenuta abitudine formale, che come formalismo ha poco a che fare con il reale.


Sarà lo stesso errore dell'altra volta. Probabilmente, ma il nichilismo quindi è corroso. Paradosso nel primo vagito dell'etichetta di "nascita" di qualcosa.


burrito scosceso giù dalla collina fino in prateria, ove visi stolidi annusano il cielo, ne fanno carta da parati, per paresi di proprietà privata.


Mungono ore da soli, in preda al più focolare gesto di derisione , uccidono l'idea relegata all'uomo primitivo e permettono al disfacimento del ronzìo del silenzio d'accatto normale ,afasico, -amembrana.


Se piccoli topi scivolassero da sotto i letti, prostatisi al di sopra delle convenzioni, del sedersi o dello stare in piedi, e si facessero non dico pietosi abbracci ma nullatenenti sospiri?


così da rubar loro respiro alcuno ma energia eretica dell'approdo a barche bisesitili, mestizie artificiose folate,


ma capanni d'oltremare.


uno. uno sprovveduto. un olfatto. un continuo ammantare per disfarre nel sicuro dove oramai la grotta è scomparsa,l'automazione.




cARNALE avversione.




Forse la diversità è un’eterna giovinezza,


un perenne amare i sensi e non pentirsi.




Non più.








Etvoilà.




Di nuovo silenzio dopo l'albero.

domenica 24 maggio 2009

Vani smarriti soffi rauchi versi

IL Porno , l'eroe

notizie di strascischi
perdonami se ogni tanto ti pesterò i piedi,
grazie per la recluta squattrinata puntellata che mira ad oltranze non lontane yarde monitori deretani amabasciatori formicolano
senza una fine delle gesta.
Sbandati" la battuta
che m'è stata

basta con questi urliii

dov'è nostro figlio ?
notizie di nostro figlio
notizie di nostro figlio

"non sei cambiato"

ci sono quà io , prendi l'altro medicalo,
caga sulle scale
come stà il bambino
rita nostro figlio!

non sei cambiato
non cercavo qualcuno con cui parlare
ma qualcuno a cui poter dire
non parlavo a nessuno da tan .

glaziosa puttanaa scalza deficiente
si sballanzola il cesareo
per questo grande anfitrione senza una posa
ma come una malconfezionata spazzina
deambulante
mi ricuce le vergogne
mi riporta all'infanzia
mi custodisce

le carte del morto.
A noi piangendo
se non è vanità, che cos'è Amore?
se non è amore
allora chi sarà?

Pruriscono le fallaci overture falliche
sono senza una posta al gioco del mittente
ed inginocchiato davanti
a me stesso
nel sordo della veglia
domando
"ti basta una serva?"
rise ingoiando un sasso, perciò granuloso come ghiaia e e frantumando denti
e girando alcool
"ti basta una serva?"

"una serva basta e avanza e se non c'è il garzone del fornaio e se anche il garzone del fornaio non durasse, c'è il fornaio in persona" Signor j
NON TI BASTA MAI , SE STASERA NON VADA IO AL TUO POSTO IN BARCA con la
e i maiali in santi
che mi ringraziano e vadano a letto
putrefatti
hanno paura di rincoglionire senza prestigio.
"era per stasera nevvero?"
non sono io , lui è di là,
non è più quà
in mobilità

han fatto bene a venire
cosa ti fa male"

spero tu possa morire vigliacco

lui non è quì signora.
"ripassate domani signorotta"

"STRONZO!"
e messosi a brandire se stesso
come di mascella d'asino
cambiamo i fiori
e dormi
almeno che non sia anche senza me
la camomilla,il prato.
L'ultima a cadere,
dormi
la testa è mia,
non la mia è quì nel reliquiario
e dove nulla va male come l'illusione
dormi senza andarsene
il morto
ma lui la pensa insieme
che non vivono insieme e
i papaveri
-basta il pensiero-
quei due a cavallo
lei aspetta il mazzetto di fiori
al collo
e color di fungo
il nostro amore
al riparo delle inesattezze dell'arte.
e in una via popolare di Tunisi
corroso dalle obiezioni occidentali
incurante del pubblico.

E dove toccherà la sponda naturalmente
avviteranno diversi sonni
e sogni.

Un palazzo non è ciò
che si crede
all'oblìo.

domenica 29 marzo 2009

Santuario di grevi laconiche mura- Un viaggiatore del tempo, disperso


Salve a nessuno.

E' il terzo week end che la presenza mi trapassa, sono tre settimane che mi concede tramite la sua corrispondenza.

E tra le feritoie intravedo cose di altri mondi, tra lo stage che diviene lavoro, tra l'invasione di pluriverso dell'universo della G, ho viaggiato e ora escavatore divengo verme ma non a fini distruttivi, ma d'immaturo campo.

Mi denudo.


Con agape , mi appresto al rielaborare questo sabato e questo pezzo di domenica, ma non in quella merda detta prosa. o solitamente detta, nulla.


Dopo un primo momento/d'arresto/ di violenza carceraria

arriva / e nel tugurio del letto

la sua voce dalla cucina

diletta\


Momenti di rincontro /di ricerca di favella/ed eccola apparir

scolorar

in una canzone


Cena/ ci si appresta ad uscir\ la pioggia batte le porte dell'umore

la nostalgia è prosa

di una rosa

fragile e complessa


Finalmente le profondità/inziano a paralizzare e distanziare

le lontananze

con sottofondo d'autore

imprigionati in casse stereolabili


E' il momento del debutto/ della resa al destino

del passato averno/ che incontra la mitica / cera\

presentata


Dialettica/ e il profondo eccolo/ rifulgente

si leva sui secoli

delle corde del cuore

e mentre le parole escono

la consapevolezza è d'arte

da parte

raggomitolata

nel Suo

tempio/


Ritorno e viaggio \inaspettato / nel futuro del dopodomani

un'occhiata

e via nel cielo puntellato

al tumulo


Differendo lo schermo diffusore/ parole saggie

miste a sagre africane in distillato

provengono da quattro

auree, mura


Dopodichè il buio/ apparente

copre d'un velo le presenze

distanti \calorose/ la minima distanza

il filo rosso è in tensione


Fino all'affogare del sonno demonio

nell'ora dell'illegal ora

pretese d'alzare l'umanoide

corpo derelitto


Sbimestrata domenica

con pioggia d'odor di colpa

ci si appresta

al restìo reale.


Ed un bacio di sfuggita

smuove e raggomitola

le intercapedini

miste a confusione


M'apro e disfo

me stesso

ma v'amo, tutti, spettatori

e con un virgulto

di libertà

donarvi l'energia

tutta

stipata nell'angolo, quì.


D'oltremodo

vi odio ,pubblico, tutti

quando il rifiuto

o i pensieri non detti

divengono rocce


L'invisibile arride

adocchia le unzioni

d'emozioni in gola

persa nella lontananza

nella ricerca del mantenere

quando piega


All'infine , adoro.

Adorami.


E il cadere nel violino

non sarà più

solitudine


pesante, invisibile

certezza



domenica 8 marzo 2009

Spiragliume sul capezzale dei prati


Mi appaiono colori che risalgono al verde marino ..al colore vitreo del vetro di bottiglia, un collo liscio, speciali interferenze giganti che vibrano la corda dell'unità.
Ecco l'aprirsi. Come modificare le sorti immaginate , in periture e perigliose situazioni che fauno Tobia non dispetta di provocare ..con quella miccia lì ..in mano..
Sembra veramente complicata: lei.
Eppure la vedo cadere non veloce ma folle , d'una caduta ripida senza freni , nella voglia di rivederla, di magari assaporare l'attesa di iniziare un discorso e abbattersi a colpi di frantoio , verso il fondo del barile, vero quella sensazione di "voglio parlarti" voglio vederti quì, accanto.
Non a me. Ma solamente accanto, innaturale onnipresenza.
FiNe dell'aRTe:
- la terra che calpestata , trema ha assolute assonanze con i sospiri , che tendono al precipizio continuo ed intanto odori di estate e solitudine e appunto di quel mare di sabbia che coincide con le aspettative rubate di migliaia di persone.
-un quadro appunto pseudo super novalistico in cui una giarrettiera appende ad una scimmia la propria barella e una faccia di putto imbiancato da innumerevoli ceroni cerulei , provocano un decadimento ma un decadimento romantico, per cui il cuore sobbalza di ansia di prestazione.
-una montagnola, collinetta di rifiati senza sola ,piange un ingiustizia una rustica coperta di marmo che travasa sul vivo , nell'inconscio: l'umana tentazione; l'umanità. Un sospiro disperato che ricorda la consapevolezza in un alito di fumo verso il morire del tramonto.
-Me lo disse lei, nella notte di quattro ore sfrontate, la Fine dell'arte.
in Continuazione.

venerdì 27 febbraio 2009

Distorto Anamozolu


Rieccomi quà :

dopo secoli che non poggiavo marmo ,rieccolo e subito si sdraia piccolo Pluriverso, che scendi le scale senza risparmiare alcun fiato perchè solamente un altra storia sull'Italia lo renderebbe furioso. Perchè d'odio , "ti posso passare la lastra" , " no penso sia il vento" .


Ma non penso al demanio o demonio pubblico che non destando , credente al potente che del nulla , di fottute regole si nutre e si copre il culo , ora non ne parlerò.

Di storie di fanti e giullari che non essendo più loro ma trasfigurandosi in vari , moltitudini di figure idiosincrasiche s'appiattiscono e ridendo si infilano in un magazzino con una coperta sul viso.

Ma danno comunque un segnale ,dal magazzino all'ufficio spedizioni e ordini, con pistole a radiofrequenza , dicono dove dovrebbe spirare la polvere e intanto il paesaggio da quella porta la Lòòòòòò " no no no" è Lààà là là là,sembra sempre innevato anche se fuori i raggi solari risplendono impegno ed amore e fiducia nel lavoro come contadini al lavoro.

E si sporca il fratellino ,che comunque pian pianino panino costruisce piani , partendo dalle fondamenta delle scale retrigrade o ( andate?) il suo scritto quotidiano.

La macchinina del dirigibilone è intatta nella scheggia mentale , proprio nella piega dell'emisfero destro e compita, seduce con lunghe cosce incalzate da spoglie chiome a righe la sua adorazione d'orzata ma non dorata. Mai dorata lei sarà, rilegge e rifugge il suo status di cenerentola che danza in sù la polvere , un pò grigia ma al sicuro, al frigo . Nelle sue nubi d'attenzione solitudinarie e spiaccicata.

IL nostro culo quadrato lo hanno in visto in tanti lassù fra le piccole particelle della sedia maneggevole che non copriva distanze di pensiero, ma sola, condivideva con noi la noia dell'esistenza.

In perituro aspetto d'ambra , mi squadrava sgocciolandosi sulla parete , su ogni centimetro del soffitto e mentre sprofondava verso l'incudine

urlavo in silenzio - " ero più curioso di te"




martedì 10 febbraio 2009

Intervista a Fabrizio De Andrè




Che cosa significa per te fare musica?
Fino a non molto tempo fa significava soprattutto divertirmi: era un modo per distrarsi, per occuparsi di qualche cosa. Che sia poi una necessità di comunicazione con gli altri, questo è tutto da vedere. Direi che soprattutto è una necessità di comunicazione con se stessi.

Già dalle tue prime canzoni ti sei occupato di problemi sociali. Perché?
Mi interessava raccontare storie di gente comune per capire di più il mondo in cui vivevo. Era una specie di autoanalisi. Poi ho trovato coinvolte in questo altre persone, prima quattro, poi quaranta, poi quattromila.

Come mai ti autoanalizzavi sui problemi sociali degli emarginati, delle puttane, o su problemi come quello dell’antimilitarismo (penso a “La guerra di Piero”)?
Come mai si diventa libertari? O hai frequentato un ambiente libertario, cosa che ho fatto fin dai diciotto anni, o altrimenti perché hai un impulso a pensare che il mondo debba essere giusto, che tutti debbano avere come minimo le stesse condizioni di opportunità per potersi esprimere ed evolvere. Mi ricordo del mio atteggiamento nei confronti della microsocietà in cui vivevo in campagna, quando avevo quattro anni. Ero sempre dai contadini, assimilavo molto più da loro che dai miei genitori, ero in mezzo alle bestie, volevo bene sia ai contadini sia alle bestie, ci stavo bene, li sentivo parte di me, più veri. Il discorso poi si è evoluto quando ho cominciato a chiacchierare con persone che erano dichiaratamente di fede anarchica.

Che influenza hanno avuto questi tuoi contatti?
Sicuramente decisiva per la mia formazione culturale, di tipo appunto libertario. In più mio padre mi portava incautamente i primi dischi di George Brassens perché lui aveva diversi contatti con la Francia. E Brassens era anche lui un libertario, le sue canzoni scavavano nel sociale. Brassens non è stato solo un maestro dal punto di vista didattico, per quello che può essere la tecnica per fare una canzone, è stato anche un maestro di pensiero e di vita. Mi ha insegnato per esempio a lasciare correre i ladri di mele, come diceva lui. Mi ha insegnato che in fin dei conti la ragionevolezza e la convivenza sociale autentica si trovano di più in quella parte umiliata ed emarginata della nostra società che non tra i potenti.

E ci sono altri che tu riconosci come maestri oltre a Brassens?
Direi di no. Ci sono sporadiche e momentanee attenzioni per altri grandi autori, come Jacques Brel. Anche lui ha fatto molte canzoni sociali, basti pensare a “Les bourgeois”. Ma ho avuto interesse, più di tipo estetico che sociopolitico, anche per Bob Dylan e Leonard Cohen.

Rispetto alle tue prime canzoni, che cos’è cambiato nel De André del 1993. Vedi delle grosse differenze?
Dal punto di vista dei contenuti direi che non è cambiato assolutamente niente. Dal punto di vista formale sicuramente mi sono evoluto, perché ho frequentato nel frattempo dei musicisti di rilievo. Ho cominciato con Giampiero Reverberi, che era già un ottimo musicista, ho continuato con Nicola Piovani, che adesso sta facendo le migliori musiche per film che escono in Italia, e poi Mauro Pagani che non è un musicista da conservatorio, come gli altri due, però è un musicista molto creativo.

Che significato ha la tua collaborazione con Mauro Pagani?
Con Pagani ho dato vita al desiderio di ritornare a parlare in maniera etnica. Abbiamo usato una lingua in disuso, con strumenti che erano in disuso. Penso a “Creuza de mä” e a quei quattro pezzi di matrice etnica che si trovano in “Nuvole”. Cercando di non confondere la musica etnica con quella folkloristica, perché la musica folkloristica è quella che fa il popolo per divertire le classi sociali più elevate. La musica etnica invece è quella che fa il popolo per se stesso. Dal punto di vista musicale Mauro aveva questo bagaglio culturale, perché era un ricercatore. Invece io sono un ricercatore del linguaggio e in più il genovese lo so da bambino per cui mi è stato abbastanza facile.

Che cosa ti proponevi facendo “Creuza de mä“, che in fondo è stato uno dei tuoi più grossi successi?
Da un punto di vista delle vendite direi che è stato il più scarso, perché noi puntavamo alle cinquantamila copie per sopravvivere. In effetti ne sono state vendute fino a oggi più di trecentocinquantamila, ma è stato un allargarsi a macchia d’olio. Lì per li è stato un impatto terribile. Mi ricordo che l’agente della Ricordi in Liguria mi ha incontrato e mi ha detto: ma che cosa hai fatto? Quel disco non lo capiscono neanche i genovesi.

Se ricordo bene “Creuza de mä” è stato premiato come miglior disco degli anni Ottanta.
È stato premiatissimo dalla critica. Ho avuto un diluvio di pacche sulle spalle. L’intendimento era inventare una musica etnica, con un linguaggio e strumenti sicuramente di matrice etnica. Solo questo. Non avevamo più voglia di seguire la traccia degli americani, del mondo anglofono e anche della loro musica. E quindi volevamo dare una svolta che in parte c’è stata. Perché dopo quel disco, molti hanno cominciato a suonare musica etnica con linguaggi locali, soprattutto nel sud.

Quindi è stata anche la riscoperta di un linguaggio autentico e autonomo rispetto a quella che è la globalizzazione della società?
Sì, è stata la voglia di sottrarsi alla dipendenza culturale di chi ha più fiato per suonare le trombe della pubblicità.

Nell’ultimo disco, “Nuvole”, del 1991, c’è una canzone particolarmente pessimista o disperante, “La domenica delle salme”. Perché l’avete scritta?
Volevamo esprimere il nostro disappunto nei confronti della democrazia che stava diventando sempre meno demo crazia. Democrazia reale non lo è mai stata, ma almeno si poteva sperare che resistesse come democrazia formale e invece si sta scoprendo che è un’oligarchia. Lo sapevamo tutti, però nessuno si peritava di dirlo. È una canzone disperata di persone che credevano di poter vivere almeno in una democrazia e si sono accorte che questa democrazia non esisteva più.

È dunque un atto d’accusa.
Sicuramente, e lo è anche nei nostri confronti. C’è una tirata contro i cantautori che avevano una voce potente per il vaffanculo, e invece non l’hanno fatto a tempo debito. Io credo che in qualche maniera la canzone possa influire sulla coscienza sociale, almeno a livello epidermico. Noto che ci sono tante persone che vengono nel camerino alla fine di ogni spettacolo e che mi dicono: siamo cresciuti con le tue canzoni e abbiamo fatto crescere i nostri figli con le tue canzoni. E non so fino a che punto sia una cosa giusta. Credo che in qualche misura le canzoni possano orientare le persone a pensare in un determinato modo e a comportarsi di conseguenza. A me è successo con Brassens, non vedo perché agli altri non possa succedere.

Oggi, se tu dovessi dare una definizione di De André, che cosa diresti, a livello musicale, politico e sociale.
Ho degli ideali precisi, quelli libertari che ho sempre avuto, solo che direi che sto aspettando che si verifichi almeno il decentramento del potere, per poter gestire in piccolo questo potere fino a creare isole di libertarismo. Dare una definizione è difficile perché sono tante cose; sono anche un allevatore di bestiame, sono una persona innamorata degli alberi, dell’acqua pulita.

In che misura il tuo essere libertario ha influito sul tuo fare musica?
Ma probabilmente per l’attenzione che ho avuto per il sociale. Mi sono reso conto delle grandi differenze che esistevano. Ho sempre tentato di giustificare e di scusare socialmente certe azioni che manifestamente erano magari delinquenziali per il fatto che le persone che le commettevano non avevano avuto quell’opportunità di poter essere uguali agli altri, soprattutto dal punto di vista economico, ma anche per l’impossibilità di studiare.

Sempre nelle “Nuvole” c’è una canzone in cui parli di un secondino. Dai voce al carceriere e c’è una nota di simpatia per lui.
Sicuramente sì, anche perché è un po’ analfabeta, infatti mi esprimo nella canzone in un napoletano maccheronico. Penso che anche lui sia una vittima delle circostanze politiche.

Una posizione un po’ diversa da quella espressa in un’altra canzone, del disco “Storia di un impiegato”, in cui dici: “Di respirare la stessa aria di un secondino non mi va”.
Con la differenza che in questo caso il secondino si rivolge a un boss della camorra, nell’altro caso era un militante dell’estrema sinistra che si rivolgeva a un secondino. Le posizioni sono completamente rovesciate. Là era il non potere che si rivolgeva al potere; in questo caso invece il potere vero appartiene al galeotto, il secondino non ne ha. È comunque divertente che il secondino sia in ogni caso un rappresentante dello stato. Ed è lo stato che si rivolge a un’organizzazione delinquenziale per ottenere dei favori. Questo è da sottolineare.
Però si tratta dell’ultimo gradino del potere statale.
Adesso viene fuori che lo si faceva anche ad alti livelli, non solo da parte di un povero secondino.

Quello che sta succedendo in Italia, incriminazione sia dei vertici della politica, sia dei vertici dell’industria, che cosa ti ispira? Farai una canzone su Tangentopoli?
Non credo proprio, anche perché non mi va di accoltellare i cadaveri. Non mi piace infierire.

Qual è la tua opinione su ciò che sta accadendo?
È un grande repulisti che ci fa soltanto bene. Il problema è di duplice natura: a forza di vedere la gente che entra ed esce dalla galera può accadere che non ci si faccia più caso, andare in galera diventerà probabilmente, nella memoria, collettiva, un fatto normale. In secondo luogo, il fatto di mettere in galera queste persone che hanno commesso crimini non è che ricostituisca una morale, è semplicemente un deterrente. Una morale la si ricostruisce in un centinaio di anni. Ormai c’è una nuova morale che si fonda su valori perversi: l’arricchimento immediato, il non guardare in faccia a nessuno pur di accumulare capitali.

Non sei molto ottimista per il futuro.
Non molto. Mi pare che adesso stiano semplicemente facendo ricerche su persone che hanno avuto a che fare con gli appalti pubblici, ma se dovessero andare a scavare, io credo che il 50-60 per cento degli italiani abbia commesso reati di questo tipo, cioè si è arricchita indebitamente. Le regole che pensavamo fossero alla base del vivere civile sono saltate, per ricostituirle ci vorrà probabilmente un periodo molto lungo. E con la nuova crisi economica rispunterà la povertà e attraverso la povertà forse si riscopriranno i valori della solidarietà.

Sarà possibile?
Probabilmente no, perché non arriveremo così in fondo da poter ricostituire il tessuto sociale su valori convincenti.

Però bisogna riconoscere che quello che ha fatto un giudice in un anno non è stato ottenuto con decenni di opposizione politica e questo ridà fiducia a un potere dello stato.
Il problema è che questo mutamento non è venuto da un largo movimento di massa ma da un potere dello stato. I giudici sono semplicemente delegati a usare questo potere deterrente che non ricostituisce la morale. Il giudice è un tecnico pagato dallo stato che applica il codice, fatto dai vertici dello stato, per comminare una pena. Il compito della sinistra dovrebbe essere quello di ricostruire una morale. (…)

Tu non sei un musicista che pubblica a getto continuo. Hai in progetto qualcosa di nuovo?
In questo momento avrei un progetto per qualcosa di nuovo, però è talmente fumoso e disordinato che prima di parlarne bisogna che faccia ordine nella mia testa. E poi in questo momento sono impegnato in concerti che faccio con fatica, con un certo timore reverenziale nei confronti del pubblico, nel timore di sbagliare. E un’attività che mi stanca molto e non mi lascia il tempo per pensare tranquillamente.

Quindi è prevedibile che passerà ancora qualche anno.
Almeno due anni, direi. Perché non penserò subito a un disco nuovo: non sono un pollo da allevamento. Spero di riuscire a pensare ad altre cose che mi permettano di evolvermi in altre direzioni. Non mi va di pensare che la mia vita debba essere fatta semplicemente dallo scrivere canzoni e andare sul palcoscenico. Ho un’azienda agricola, amici, interessi diversi.

Delle tendenze musicali contemporanee, quale ti interessa di più?
Direi che in questo momento c’è ben poco. C’è per esempio il metal, io sono poco portato verso questa musica che si può cantare poco. Direi che sono più portato ad ascoltare giovani che stanno recuperando antiche tradizioni popolari, soprattutto in Puglia. Attraverso una musica che in certi casi è rap, quindi d’importazione, ma in altri casi ha radici nella cultura musicale. Alcuni giovani stanno raccontando storie di tutti i giorni nella loro lingua originale. Ce ne sono un po’ dappertutto e questa forse è la cosa più interessante. E bisogna tenere presente che una canzone per essere riuscita dovrebbe avere due possibilità di lettura. Quindi canzoni che lì per lì possono sembrare canzoni di evasione, di amore, scavando puoi trovare anche il sociale. Magari chi l’ha scritta, l’ha fatto inconsciamente.

Puoi fare qualche esempio riferendoti a tue canzoni?
Per esempio la Canzone di Marinella. Non è nata per caso, semplicemente perché volevo raccontare una favola d’amore. È tutto il contrario. È la storia di una ragazza che a sedici anni ha perduto i genitori, una ragazza di campagna dalle parti di Asti. È stata cacciata dagli zii e si è messa a battere lungo le sponde del Tanaro e un giorno ha trovato uno che le ha portato via la borsetta dal braccio e l’ha buttata nel fiume e non potendo fare niente per restituirle la vita, ho cercato di cambiarle la morte. Così è nata la “Canzone di Marinella”, che se vogliamo ha anch’essa delle motivazioni sociali, nascostissime. Ho voluto completamente mistificare la sorte di Marinella. Non ha altra chiave di lettura se non quella di un amore disgraziato; se tu non racconti il retroscena è impossibile che uno pensi che all’origine c’era una gravissima problematica sociale. Certi fatti della realtà, soprattutto quand’ero giovane, mi davano un grande fastidio, allora cercavo di mutare la realtà.


(Tratto da Volontà “Note di rivolta”, 1993)

giovedì 22 gennaio 2009

DE SOGNI: linfe sprizzanti spume. - la brezza-





Che premura..ora quì sul petto, dopo i ricordati ricordi di immagini che nel momento del sonno, mi hanno colpito.

Uno, l'idolo d'emozione ( " Sulla cattiva strada" ) e l'altra .... con un fetta di cioccolato per il mio compleanno. E lei che si rivoltava e riveriva sconnessa fra le lenzuola del suo letto, mi sentii respinto. O forse solo ora che la magia del sogno sembra svanire, comincio a respingermi da lei e da quel suo vicino,bacio.


E nella selva vagavamo , io e il mio cuore, imbarazzari di timidezza - sentimento che ancor più adesso abiuro, ha una forza invadente e perniciosa,sovente più egocentrica dell'arroganza. Dalle parole il silenzio s'era ben guardato.

Eravamo accanto l'uno all'altro, il sanguigno e io,mesti privi chissà per ordine di quale grazia dittatrice, della consueta umana voglia di dire. Le sue vene mi accerchiavano il collo. La commozione mi mortificava la bocca. Con intimo peritoso orgoglio mi opposi al pianto. Ma non volevo reggergli, ammettiamo che non volevo. Piansi. Piansi ancora come un bambino.

Sentii gli acidi salirmi alla gola. La mente ordinò di buttarmi a terra , di prostrarmi a lui davanti.

Mi abbattei al suolo manifestando me stesso come mai prima , fugando ogni dubbio su ciò che il me racchiudeva al suo interno.

Stramazzai come stando in piedi, urlai a bocca salda, mi dimenai in segreto, sbracando un piede volò.


Matto folle, folleggiavo.


Lui prese le mie lacrime. Le parti si unirono a diventare solo ammasso. La catasta divenne buia. Buia nel buio, e tutto l'impalpabile dintorno era fitto di indecenti bianche margherite, che avvampavano insolenti nel nero assoluto incombente.


Fui tenuto nel liquido con una dolcezza ineguagliabile che non cederò a descrivere. I suoi fluidi colavano nei miei, confluivano in un liquido comune, indotto dallo stesso morso.


Poter Parlare.


...............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

A partire da essa ,dall'urlo di chi non si voleva vivo , tutto potrà essere detto.

La scena è stata ripulita , e il delirio di esistere può spaziare nel vuoto che si merita: una tabula rasa da cui la fenice del senso, come dopo un teatrale capitombolo , non sembra volersi sollevare.

mercoledì 7 gennaio 2009

Trobadore. mistico e ardore

Si è risvegliato, così. Senza immagini , senza foto. Ma lo ha fatto. E da un periodo in cui ci si era quasi abituati alla sua assenza,ci si è ricreduti. In assenza si impara a sperare nelle briciole, in poco .. ed è come disintossicarsi.


Ma è ritornato.

Apro la porta.

Mi siedo.

scrivo.



anzi ; dormo.




Dopo giorni assolutissimamente vuoti di creazione, ma pieni di vuoto e di disagio per varie situazione.

E' bastato dormire.


Chiudere gli occhi, anche con una certa noncuranza e il Cervello è partito.


Sedie,tronchi di vernice, cantine che pervadono mongolosità ma non la malattia ma il verde del moccolo (non il giallo del catarro) per un movimento, una danza da alienati febbricitanti.
Un preservativo usato, per terra tipo chewingum , giocato con Testa o Croce ed uscito il vincente avvolto da calde ,inesperte braccia e dal profumo di chi non sà ma ci prova genuinamente.
Un capitombolo giù dalle scale , un tacco che fuoriesce dal tallone uno sguardo che non ha più senso di esistere.





"Rovine al buio, scompaiono
foto al sole bruciano
dondolando in un angolo
perduta è la fenice"





"L'innocenza giudica
per una goccia espansa di arancia
la propria età"





"Le tende antiche
ricoprono l'odore
marcio
fiorite
sfinite
nere.
Rovine nella notte scompaiono-
Il tormento è la festa degli umori"





Dormendo in dormiveglia rem semi rem, doremi fa , le falangi pigiavano spinte questa volontà fortissima di comunicare all'Io e al Super Io , chi Io sia veramente.


L'Es ha dato l'impronta al mio cuore, una di quelle che difficilmente rimangono ed per questo che otterrà l'universo sputato fuori come arcobaleno saltimbanco e scorazzante.
Ugoleggia e favoleggia .


Ora come nei sogni sembra sfumare.
Perchè gli occhi di Leo di lato, non si possono feramare.





Bentornato ....



venerdì 2 gennaio 2009

VeNERDA vIAGGIO vIBALIS







Morente alba su quelle spoglie
d'albero in fiore
Ecco la fotografia d'immane gioia
e scivola giù fra le radici
bagnate e losche di derelitti
giacciono distesi. Api COLOR oro
espiantano la vanità
dall'orgoglio che rincorrono dell'antico color
il perduto.


Stupide sere diroccate in gemmate di germi antichi
spirano la brezza dell'organolettico in fumo
sul dolce canto dell'albatro.

Gemente è crisalide tesoriera
là che scorse merde blu
ritrova antichi calori, amanti.

Cristallo è il dilungarsi delle nuvole
purchè si trovi in loro una cera miccia
di cui l'urlo di sirene biancheggino
il cielo strafogante favolitiche
adorate , merde.


ora sono vuoto.



ora sono niente.

grazie Nuovo.

. .